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Bramante Pittore

Sebbene la pittura del Bramante sia stata considerata sempre di livello inferiore rispetto alla sua architettura, da un lato non possono trascurarsi alcuni contributi rilevanti del grande architetto, dall'altro vanno esaltati alcuni caratteri salienti di quest'ultima.   Nelle opere pittoriche di Bramante è possibile rinvenire costantemente una figura umana, inserita in uno spazio architettonico virtuale, con un disegno ben definito e in rapporto diretto con lo spazio dell'architettura reale. È evidente in lui, più che in altri ''colleghi'' coevi, quella congiunzione tra ars pingendi ed ars aedificandi.   Prospettiva e proporzionalità sono due aspetti fondanti del suo bagaglio culturale e sempre ricorrenti nei suoi lavori.

Uomini d'arme

I cosiddetti Uomini d'arme restano senz'altro la testimonianza più emblematica dell'attività pittorica del Bramante a noi pervenuta. La data dell'opera è incerta: c'è chi ipotizza che risalga agli anni ottanta del 400 e chi invece, come Mulazzani,  ritiene che sia da datarsi 1492-94. I personaggi sono stati individuati da Gian Paolo Lomazzo, nel suo Trattato della Pittura, come tre nobili milanesi, uno dei quali sarebbe Ludovico il Moro.   Si sostiene che l'opera sia stata commissionata da Gaspare Visconti, mecenate che ospitava Bramante e a quel tempo proprietario della casa poi di Gottardo Panigarola.   All'artista urbinate era stato richiesto di affrescare diversi vani del piano nobile della casa con una sala significativa per le finte architetture e otto nicchie, in cui si potevano ammirare le figure dell' Uomo con spadone, dell'Uomo con mazza, del Giovane con la lancia, del Cantore e dell'Uomo col lauro.  Queste figure rappresentavano uomini con caratteri somatici reali ed espressivi, marcati da un forte chiaroscuro e disegno.   Marcati erano anche i volumi ed evidenziata la costruzione proporzionale dei corpi.   Tali affreschi, concepiti con dimensioni poco più grandi del vero, avevano l'intento di ampliare, mediante il ricorso all' architectura ficta, lo spazio di una sala non grande. Diverse, sono le tangenze stilistiche che possono essere rintracciate in quest'opera: dalle figure monumentali, ben inserite in una cornice architettonica, come in Mantegna, Luca Signorelli, Leonardo e Bernardino Zenale, alle tipiche terracotte lombarde.

Gli affreschi sono ora esposti presso la Pinacoteca di Brera a Milano.

Eraclito e Democrito

Raffigurata in un'area attigua alla sala con gli Uomini d'arme, era una scena che riporta due figure, identificate come i filosofi Eraclito e Democrito. Delle due figure, quella di destra, sorridente, si ritiene corrisponda a Democrito, grande naturalista, che pare intrattenere una discussione, raffigurata dal gesto della mano che accompagna la parola; il personaggio sulla sinistra, invece, sarebbe invece il filosofo Eraclito, che viene raffigurato con un'espressione di patimento sul volto e le mani intrecciate, in un modo forse allusivo alla sua filosofia di stampo pessimista.

Gian Paolo Lomazzo, nel suo Trattato della Pittura, mette bene in risalto siffatto linguaggio allegorico dell'opera pittorica, laddove scrive che: ''Bramante dipinse il giuoco di natura, cioè Heraclito che piangeva e Democrito che rideva, sopra una porta''.

Degno di nota è poi il fregio classico, sopra le teste dei due personaggi, che rinvia in modo diretto ai due fregi presenti nell' Incisione Prevedari. I diversi libri, con ogni probabilità di oggetto filosofico o scientifico, sono probabilmente un omaggio al committente, nonché padrone di casa, Gaspare Visconte, umanista e letterato.

Come gli Uomini d'arme, anche quest'opera è ora esposta alla Pinacoteca di Brera.

Cristo alla Colonna

Il Cristo alla Colonna è un'opera nè firmata, nè documentata, ma menzionata da Gian Paolo Lomazzo, nella sua Idea del tempio della Pittura. Fu probabilmente il cardinale Ascanio Sforza a commissionare quest'opera per l'abbazia cistercense di Chiaravalle, di cui era commendatario.

È forse l'unico dipinto su tavola che può attribuirsi con una certa attendibilità al Bramante .

L'opera evidenzia le forti tangenze con coevi dell'artista urbinate, primi fra tutti Antonello da Messina e Melozzo da Forlì. Il capolavoro, d'altro canto, rivela come l'artista urbinate abbia avuto modo di conoscere e sperimentare da un lato lo studio virtuosistico degli effetti di luce e l'attenzione per i dettagli, tipici dei fiamminghi, dall'altro l'esperienza antica per la proporzione e la concezione statuaria del nudo.

L'opera, d'altronde, può considerarsi frutto di quel rapporto dialettico intrattenuto con Leonardo, che proprio allora andava svolgendo i suoi studi anatomici e dedicando sempre maggiore attenzione ai moti dell'animo, che venivano incarnati nei gesti, nelle particolarità fisionomiche e nell'intensità dei volti che andava raffigurando.

Il Cristo alla Colonna rivela infatti nelle lacrime e nella pelle martoriata dalle corde un evidente patetismo.

 

L'opera, anch'essa esposta alla Pinacoteca di Brera, è stata talora attribuita anche a Bramantino, così come si è ipotizzata una collaborazione tra i due artisti, ritenendo Bramante progettista dello scorcio e degli elementi architettonici.

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